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Claudio Monteverdi :”Cantate Domino” .
È un breve Mottetto a sei voci, pubblicato nel 1620, che alterna lo stile omofonico a quello contrappuntistico; quest’opera rivela la profonda esperienza monteverdiana del Madrigale, anche nella capacitá di alternare le sezioni vocali, trovando sempre nuove combinazioni e alleggerendo così il tessuto compositivo.

Emilio de’Cavalieri: “O che nuovo miracolo”.
Questo brano fa parte dell’Intermedio (Intermezzo) della commedia “La pellegrina “, eseguito nel 1589 a Firenze per le nozze di Ferdinando de’Medici e Cristina di Lorena. Romano di nascita, de’Cavalieri fu uno dei motori organizzativi dell’arte fiorentina di quegli anni, contribuendo anche a creare le premesse per la nascita del Melodramma. Anche ” O che nuovo miracolo” mostra molti caratteri della danza, comprese molte trasformazioni ritmiche, che vivacizzano il dialogo fra soprani e il resto del coro. Il testo celebrativo fu scritto da Laura Guidiccioni a musica ultimata, rivelandone quindi una certa inevitabile subalternitá.

Amadeus Mozart: “Ave verum corpus” K.618 è un mottetto, originariamente scritto per coro misto, orchestra e organo, composto dall’autore nel 1791, anno della sua morte. Si tratta di un brano estremamente amato e popolare, una pagina breve e delicata ma intensissima, scritta per la solennità del Corpus Domini; bastano le prime battute per immergere l’ascoltatore in una indimenticabile atmosfera piena di pathos.

Gustav Holst: i “Coral Hymns from the Rig Veda” (1910) sono tra le opere più riuscite di Holst, appassionato studioso di sanscrito e della mitologia hindu. Il compositore inglese aveva già scritto tra il 1900 ed il 1908 due opere di ambientazione indiana “Sita” e “Savitri”; la prima, per grande orchestra, è ancora fortemente influenzata da Wagner mentre la seconda è una breve opera da camera.
Gli “Inni” si avvalgono di mezzi ancora più ridotti: il coro femminile a quattro voci è sostenuto dal solo affascinante suono dell’arpa, fluido ed etereo quando descrive lo scorrere delle acque (Hymn to the waters), ricco ed intenso quando le voci esaltano la potenza degli dei e delle forze della natura.

Andrea Mormina:
“Ave Maria”. Scritta nel 2012, questa Ave Maria intende trovare delicate sonorità neotonali in equilibrio tra armonie arcaiche e impressioniste, con vigorosi innesti ritmici asimmetrici e minimalisti.
Il quadro generale è quello di una visione della figura di Maria molto serena e gioiosa, quasi popolare, con l’eccezione di una breve sezione maschile più scura e meditativa.
“Pater Noster” si richiama a un’idea di relazione con il divino libera da dogmi, sentita come intimo e diretto rapporto con il sacro, visione di religiosità semplice e ancestrale. Il brano riprende gli stilemi musicali della polifonia occidentale, guardando soprattutto a Claudio Monteverdi e al primo Seicento, con l’innesto di alcuni elementi ritmici legati alle esperienze del novecento. La libertà nell’accostare materiali così eterogenei e storicamente distanti incarna un’idea di post-moderno che oggi trova la forza di emergere, a dispetto di consuetudini compositive che hanno scandito un po’ dogmaticamente la musica contemporanea.

Simone Del Baglivo-Andrea Mormina : “UT” . È un brano scritto a quattro mani da Del Baglivo – cantautore e Mormina – compositore. Con la sillaba “Ut” si designava anticamente la nota “Do”; fu Guido d’Arezzo (995 ca.-1050) a utilizzare per primo le sillabe Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La, per denominare i gradi della scala (di sei suoni) allora in uso. Egli trasse questi nomi dalle sillabe iniziali dei versi di un inno gregoriano dell’VIII secolo, l’Inno a San Giovanni, molto noto ai cantori dell’epoca, in quanto San Giovanni era il protettore delle ugole. Nel Seicento la sillaba “Ut” venne sostituita dal “Do” e infine si arrivò alla scala moderna con l’aggiunta della nota “ Si”. “Ut” nasce , sotto forma di canzone, dal desiderio di Del Baglivo di rendere un moderno omaggio alle note stesse e al poderoso edificio musicale da esse scaturito nel corso dei secoli. In seguito Mormina dà alla composizione una veste polifonica, riscrivendo il brano per coro misto a quattro voci con l’aggiunta del pianoforte e dell’arpa.

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